θάνατος αθάνατος – Solo la morte è immortale
θάνατος αθάνατος
Solo la morte è immortale
Sabato 4 giugno alle ore 18:30, Paola Raffo Arte Contemporanea inaugura la stagione estiva e la Collector Night n.7 con la mostra collettiva θάνατος αθάνατος – Solo la morte è immortale.
L’esposizione presenterà le opere di Jørgen Haugen Sørensen, Antonino Bove, Andrea Berni e, in anteprima nazionale, il documentario “Into the Night: Portraits of Life and Death” della regista candidata al Premio Oscar Helen Whitney.
La morte psicologicamente è altrettanto importante della nascita e, come la nascita, fa parte integrante della vita.
Carl Gustav Jung
La mostra è un invito a una riflessione interiore, su quello che desideriamo veramente raggiungere, ma da cui troppo spesso ci allontaniamo.
La fine è solo una meta dopo una vita dove lo spazio e il tempo sono soggettivi, dove sono solo i nostri riflessi corporei a soggiacere a regole prestabilite che la nostra psiche può scardinare.
Jørgen Haugen Sørensen, scomparso recentemente, ha lavorato negli ultimi anni alla creazione di sculture in ceramica che rappresentano corpi umani quasi sempre nudi, grotteschi, deformati dalla sofferenza e dal dolore e afferrati dalla morte.
Le opere sono modellate con un impulso quasi primordiale che lascia la materia non definita e piena di asprezze, utilizzando uno stile crudo e spesso brutale per raccontare la sua personale visione della condizione umana.
Antonino Bove espone opere in materiali misti dove disegna un mondo futuribile, derivato dal superamento della natura attraverso la tecnologia. Egli intravede un’umanità immortale dalle facoltà e capacità cerebrali aumentate e dai sentimenti espansi, oggi a noi sconosciuti.
La ricerca artistica di Antonino Bove è un saggio poetico sull’energia insita nelle nostre cellule e come queste si modifichino e si trasformino dettate dagli stimoli della tecnologia.
Come scrive Bruno Corà “l’immaginario artistico di Bove antesignano e originale interprete del pensiero post-umano, ha come obiettivo imprescindibile di impedire la degradazione cellulare, porre argine all’entropia”.
Andrea Berni presenta una grande opera nella quale si racchiude un piccolo spaccato del tempo che è passato, e dove al suo interno volti galleggianti e inconsapevoli instaurano rapporti cercando di essere ricordati.
Una installazione composta da decine di teste bianche in gesso dai volti consumati, distrutti, ridotte a nient’altro che ossa rappresentanti le sofferenze che le persone sono disposte a pagare per rimanere all’interno di questo gigantesco meccanismo.
Personaggi che non hanno vissuto, figure eteree a cui la vita è scivolata tra le mani e dove solo un’ombra del loro passaggio è rimasta. Individui come parti di un inarrestabile congegno dall’obiettivo tutt’altro che umano.
Una ricerca di purezza, di riscoperta dei tempi dell’umano vivere, di una rivoluzione-evoluzione che deve partire da ognuno di noi.
Helen Whitney, scrittrice, produttrice e regista americana presenta il suo ultimo film “Into the Night: Portraits of Life and Death” appena uscito negli Stati Uniti. Il film narrato da Sharon Stone è un’intima esplorazione sulla mortalità umana.
Nove uomini e una donna per i quali la morte non è più un’astrazione lontana poiché ognuno di loro è rimasto colpito da accadimenti che lo hanno cambiato per sempre.
BIOGRAFIE
Jørgen Haugen Sørensen
(Nato a Copenhagen, 1934– Pietrasanta, 2021)
è stato uno degli scultori più eminenti della Danimarca. Ha trascorso gran parte della sua vita lavorativa all’estero, principalmente in Francia e in Italia, sviluppando uno stile molto lontano da quelli dei suoi contemporanei danesi. Nel corso degli anni ha ricevuto molti riconoscimenti importanti per le sue opere, come la medaglia Eckerberg nel 1969 e la medaglia Thorvaldsen nel 1979. Jørgen Haugen Sørensen è un membro del sindacato artistico Decembristerne e Grønningen, così come Veksølund in Danimarca. Dopo il suo debutto alla mostra primaverile di Charlottenborg nel 1951, si guadagnò rapidamente la reputazione di scultore dall’intensa espressività e realismo. Le sue scene di macellazione divennero centrali nel suo lavoro. Alla fine degli anni ’50, durante un soggiorno nell’isola di Bornholm, entrò in una fase più astratta, sperimentando opere in ceramica, pur mantenendo elementi del corpo. Durante gli anni della guerra d’Algeria, si stabilisce a Parigi realizzando sculture figurative in bronzo dal 1959 al 1963. Esse raffigurano forme organiche sfregiate e lacerate che riflettono una realtà di crudeltà, paura e sessualità. Ha viaggiato molto in Italia, Germania, Spagna e Jugoslavia. Alla fine degli anni ’60 completa spesso composizioni composte da diverse sculture più piccole, a volte utilizzando materiali come plastica o tessuti, prendendo in prestito occasionalmente elementi da altri scultori. Dopo un’interruzione alla fine degli anni ’60 quando si dedica al cinema, torna alla scultura facendo uso del marmo, accostando spesso colori e finiture diverse, come nel suo lavoro decorativo al di fuori della Scuola di Giornalismo di Aarhus. Altre opere importanti includono il geometrico Huset der slikker solskin (The House that Licks Sunshine, 1980) per il Danish Institute di Roma, Dumhedens store flod (Stupidity’s Great River, 1995) a Ribe e Sorg (Sorrow, 1990) per l’Università francese ad Istanbul. Il suo lavoro successivo consiste in grandi forme angolari con superfici ruvide come le sue tre sculture per l’Università di Lund (1994) e il suo Colosso alto 7 metri all’Amager Beach Park di Copenhagen. Le opere di Haugen Sørensen presentano le sue opinioni sulla condizione umana nel suo stile spesso brutale. Libero dall’attaccamento a qualsiasi idioma, Haugen Sørensen incanala il suo talento creativo per rappresentare la propria visione esistenziale, catturando i temi di base della vita e della morte, dell’amore e della sofferenza come punti focali della sua scultura, sia essa in argilla, gesso, tessuto, terracotta, bronzo, marmo o granito. Nell’estate 2017, in Piazza Duomo e in Sant’Agostino di Pietrasanta, in collaborazione con Paola Raffo Arte Contemporanea, ha tenuto la personale The crowd-La folla, curata da Bruno Corà e Lars Kærulf Møller. Successivamente la Ny Carlsberg Fondet di Copenhagen ha donato la scultura “La Folla“ alla città di Pietrasanta. A seguire molte altre personali tra cui nel 2019 “The Innocent Guilty” Veiner Kunstgalerie, Lussemburgo e “Time meets Time” J.F. Willumsens Museum Danimaca. Nel 2020 “A Dack Story in White” Messums London, Londra e a Messums Wiltshire, “Crowding at the Gate of Stupidity” Hans Alf Gallery, Copenhagen, Danimarca.
Nel 2021 ha esposto a Palazzo Pretorio, Prato “The Man with the Dog” . Tra le principali collettive, nel 2019 “Beyond the Vessel, Meşher”, Istanbul, Turkey.
Antonino Bove
(Borgetto, Palermo, 1945) Nel 1967 frequenta l’Accademia di belle arti di Firenze dove è allievo di Primo Conti. Nel 1972 si trasferisce a Viareggio e l’anno dopo, a Firenze, fonda la «Società degli onironauti» i cui atti costitutivi sono pubblicati sull’Enciclopedia delle Scienze Anomale, Zanichelli. La prima personale risale al 1984 presso la galleria Proposte d’Arte Contemporanea di Firenze, curata da Alessandro Vezzosi; due anni dopo partecipa a Firenze capitale della cultura europea presso Palazzo Medici Riccardi di Firenze. Dal 1988 al 1990 con Claudio Costa, Jakob de Chirico, Angelika Thomas e Igor Sakarov Ross fonda il gruppo Kraftzellen partecipando, tra le altre, alla mostra Ressource Kunst: Die Elemente neu gesehen con Joseph Beuys, Anselm Kiefer, Bill Viola. Col gruppo partecipa inoltre a simposi presso il Franklin Furnace Archive di New York e alla Rutgers University del New Jersey. È co-fondatore, nel 1990, del gruppo italo-austriaco «Osmosi». In occasione di Irradiazioni curata da Bruno Corà e promossa nel 1998 dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato espone Antropolievito nella collettiva Ecce homo a cura di Giandomenico Semeraro con Fabio Mauri, Oliviero Toscani, Jaume Plensa e Andres Serrano. Nel 2002 con Giovanni Anselmo, Gino De Dominicis, Yves Klein e Jannis Kounellis è invitato alla X Biennale di Arte Sacra Contemporanea a cura di Luciano Caramel e Carlo Chenis presso Isola del Gran Sasso d’Italia. Nel 2008 partecipa con esponenti della poesia visiva e artisti come Eugenio Carmi, Luigi Ontani e Emilio Isgrò, alla collettiva Jean Cocteau le joli cœur all’Institut français di Milano presso il Palazzo delle Stelline. Espone alla mostra toscana del Padiglione Italia, organizzato nell’ambito della 54ª Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia del 2011, curato da Vittorio Sgarbi, presso Villa Bardini di Firenze. Nel 2014 partecipa alla mostra Visual poetry a Pavia, mentre l’anno dopo tiene la doppia personale con Lamberto Pignotti presso Il Gabbiano arte contemporanea di La Spezia. Nel 2016 è invitato alla collettiva antologica Felicità e facilità della poesia visiva italiana al Museo della Carale di Ivrea con Nanni Balestrini, Eugenio Miccini, Claudio Parmiggiani, Gianni Emilio Simonetti e Adriano Spatola. Nel 2017 con Vincenzo Agnetti, Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Mimmo Rotella, Mario Schifano e altri protagonisti dell’arte italiana, partecipa a Viva Italia presso la Galleria Civica di Bratislava in Slovacchia. Nel 2022 esce la monografia L’arte più potente della fisica a cura di Bruno Corà per Forma Edizioni.
Andrea Berni
(Firenze, 1982) Ha iniziato la sua formazione artistica a Firenze. Attratto dal mondo della scultura si è spostato a Carrara dove si è laureato nel 2006 all’Accademia di Belle Arti. Qui ha aperto il suo studio insieme ad altri artisti dove approfondisce la sua ricerca sperimentando tecniche passate e contemporanee, un posto di idee e di scambio culturale diventato negli anni uno degli spazi d’arte di Carrara. Ha partecipato a mostre e simposi di scultura in Francia, Norvegia, Lituania, Libano, Germania dove ha avuto la possibilità di installare delle sculture pubbliche e instaurare profonde amicizie con artisti di tutto il mondo. Dal 2018 inizia la collaborazione con Paola Raffo Arte Contemporanea di Pietrasanta. Nella sua continua osservazione del mondo e della società che lo circonda, si concentra su alcuni aspetti che racchiude nella serie “Indifferents”. Con ciò sottolinea lo studio delle sensazioni e delle emozioni umane più profonde. Individui sommersi da stimoli che non capiscono, persone dissociate dalla vita, in uno stato di profonda e perenne indifferenza. Individui resi singoli, dall’animo rubato, apatici, immobilizzati e prigionieri. Profondamente nichilisti, privi di passioni, forza e spirito. Esseri spenti, defraudati dal passare del tempo, velati nello spirito da una profonda rassegnazione. Rivolge anche il suo sguardo alla natura che lo circonda e alla profonda relazione con l’essere umano, dando vita alla serie “Natural Inspiration”. La bellezza della natura, la semplicità delle sue linee e composizioni. L’incanto di un raggio di sole che accarezza una superficie rendendola luminosa, calda. Complessa ma al contempo semplice, in armonia ed equilibrio nella ricchezza di chiari e di scuri, spesso appena percettibili nella loro delicatezza, talvolta forti e netti. Morbidezza e rigidità generano un sano e continuo desiderio d’osservazione, inesauribile fonte di curiosità ed emozioni.
Helen Whitney
Helen Whitney lavora come produttrice, regista e sceneggiatrice per documentari e lungometraggi dal 1976. I suoi documentari spaziano su vari argomenti, tra cui: bande giovanili, candidati presidenziali, malati di mente, un monastero trappista, Papa Giovanni Paolo II, l’omosessualità e il fotografo Richard Avedon. Whitney nei suoi vari lavori mantiene un appassionato interesse per il viaggio religioso. Il suo documentario prodotto per ABC News Closeup di 90 minuti, “The Monastery”, sui Cistercensi a Spencer, Massachusetts, l’ha lasciata incuriosita e pronta alla ricerca per altri progetti sulla vita spirituale. Questa passione è stata evidente anche in “John Paul II: The Millennial Pope” di Frontline (programma TV) un film per il quale lei e il suo team hanno condotto più di 500 pre-interviste in sei paesi. Dopo gli attacchi dell’ 11 settembre, ha prodotto “Faith and Doubt at Ground Zero”, un documentario di due ore che ha esaminato come le credenze religiose – e le non credenze- degli americani siano state messe a dura prova dallo shock emotivo dell’attentato. A seguire, l’acclamata serie Frontline di Whitney di quattro ore, “The Mormons”. La sua recente serie PBS di tre ore, “Forgiviness; A Time to Love and a Time to Hate” ha esplorato le complessità e le contraddizioni del perdono in ambito politico e personale. I documentari e i lungometraggi di Whitney hanno ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui un Emmy Award, un Peabody Award, una nomination al Premio Oscar, l’Humanitas Award e il prestigioso duPont-Columbia University Award. È stata anche scelta per essere William Belden Noble Lecturer nel 2012 all’Università di Harvard.